La prima parte del viaggio verso nord trascorre in mestizia: alle
spalle un addio davvero emozionale, e davanti a me un viaggio di 8 ore verso la
nostra prima tappa, Yeppoon. Mi perdonerete se non ho divertenti aneddoti da
riportarvi, ma vi assicuro che in 8 ore è successo veramente poco o niente.
Uniche cose degne di segnalazione: ho visto finalmente in maniera dignitosa i
miei primi canguri (non morti, non in mezzo alla boscaglia, ma ai margini di un
centro abitato) e ho visto un’echidna! Sapete cos’è un’echidna? Per qualche
motivo pensavo si trattasse di un uccello pieno di pungiglioni, invece mi sa
che la confondo con il kiwi. E il kiwi lo confondo con il frutto. L’echidna è più simile a un porcospino, ma gli aculei sembrano cattivi come
quelli dell’istrice. Appartiene alla stessa famiglia dell’ornitorinco, ovvero
quella dei mash-up animal, quelli che non sai se sono mammiferi o rettili, e
per questo hanno inventato una categoria apposta per loro. Della categoria
fanno parte appunto l’echidna e l’ornitorinco. È un club molto esclusivo. Mi
spiega Shane che molte echidne muoiono sotto le macchine, investite nel
tentativo di attraversare, e anche le auto non ne escono tanto bene: ruote da
buttare. Per fortuna di tutti, la nostra echidna quando ci vede arrivare si
ferma sul ciglio della strada, anzi ci ripensa e torna indietro. Torniamo
indietro pure noi, scendo dalla macchina e corro a vederla con una certa
circospezione, chiedendomi in che modo potrà mai attaccarmi. In Australia le
creature viventi si dividono in pests,
ovvero seccature infestanti, e predatori, che cercheranno di ucciderti a ogni
piè sospinto. E poi ci sono i drop bears,
di cui vi parlerò in seguito. Non so se l’echidna sia una pest, ma credo se non altro di essere al sicuro: in questo momento
lei è sicuramente molto più spaventata di me, ha il musetto affondato nel
terreno e di certo sta pensando: “Speriamo
che non mi abbiano visto… Dio, ti prego, fa’ che non mi abbiano visto…”
mentre con le manine cerca di scavare più a fondo.
Poverina, ti abbiamo
spaventato abbastanza. E dopo questa sosta le 8 ore sono diventate 8 ore e 10
minuti, quindi è meglio proseguire.
Anzi, quindi è meglio arrivare direttamente a Yeppoon, località
costiera poco distante da Rockhampton. A parte la spiaggia che sembra una pista
di atterraggio e i pomodori a $ 5,40 al kilo (scusate ma dopo aver visto
cartelli che riportavano prezzi ridicoli, tipo 12,90 $/kg, questa rarità merita
una foto),
non c’è molto altro da segnalare. È anche piuttosto tardi
quando arriviamo, lasciamo di corsa le valigie in ostello e andiamo a mangiare
qualcosa, per poi andare a dormire. Come in molte cittadine australiane, qui si
spegne tutto molto presto, e alle 8 di sera non c’è speranza di trovare
un’anima per le strade. Non puoi neanche dire vado in spiaggia a bermi una birra sotto le stelle, perché non si
può bere nei luoghi pubblici. Non resta che andare a dormire, che domani ci
aspetta un altro lungo viaggio.
Prossima fermata: Sarina, 300 km più a nord. Il bello è che a
parte pochi punti stabiliti (tipo Cairns), decidiamo le tappe via via che ci
spostiamo. Ma sai che sto posto mi
ispira? E fermiamoci, dunque! Sarina è l’esempio perfetto. Dopo aver
cazzeggiato a lungo in quel di Yeppoon, è chiaro che oggi non arriveremo
lontano, quindi tanto vale prendersela con calma. Perché stressarsi per
arrivare a Mackay, una città che difficilmente offrirà qualcosa di diverso da
centri commerciali e centri commerciali, e non ci fermiamo in quest’altra
graziosa località costiera? Al posto dei centri commerciali ci sono solo
resort, motel e un piccolo supermercato. E i barbecue pubblici accanto alla
piccola piscina del motel. Uhm. Supermercato e barbecue. E nessun ristornate in
vista. Sapete che vuol dire questo? Grigliata! A pochi metri dall’ennesima
spiaggia chilometrica. La stessa spiaggia su cui si apre la porta finestra del
motel.
La mattina posso svegliarmi, aprire le tende, vedere l’alba e
tornare a dormire. Che meraviglia. Ah, no. Non posso tornare a dormire. Oggi
dobbiamo arrivare a Airlie Beach, e questo è un appuntamento fisso.
Airlie Beach è una cittadina orrendamente turistica, ma è il punto
di partenza ideale per visitare le Whitsundays Islands, un arcipelago di 74
isole sparse fra la costa e la barriera corallina. Barriera corallina che,
probabilmente non vi ho detto, inizia dalle parti di Bundaberg e prosegue a
nord per più di 2.500 km. Da Airlie Beach partono molte escursioni di 2-3 giorni
in barca, e il piano è proprio quello di trascorrere il mio compleanno in
questo paradiso. D’altra parte, l’avevo detto fin dal primo post, ricordate? Prenotiamo quindi l’escursione di 2 giorni su una barca chiamata
Blizzard e ci prepariamo a partire l’indomani. Che giorno è l’indomani? 14
ottobre! Yeeee, auguri Swaggirl! Mo sono 30, eh? Metti la testa a posto e fa’
la persona seria!
La partenza è prevista per le 4 del pomeriggio dalla marina di
Airlie Beach. Siamo accolti a bordo (rigorosamente scalzi) da Chriscoe e il suo
mozzo/fidanzata, che non appena mi sente parlare al telefono con la mamma mi domanda: “Italiana?” Si chiama Giulia,
è fiorentina ed è in Australia da 8 mesi, di cui gli ultimi 6 li ha passati qui
a lavorare sulla barca. “Complimenti, ti sei scelta proprio un bel lavoro!”
“Eh, non è male come ufficio, no…” Oltre ai due membri dell’equipaggio, la
barca ospita 10 passeggeri: Simon e Keira, irlandesi che vivono a Sydney, e
Noel, il padre di lei, in visita, che ha una passione irrefrenabile per i
nostri laghi del nord; Minerva, messicana, e il suo fidanzato Fernàn, svizzero
urugayano. Max, tedesco, e i Germans (perdonate ma non ho capito i nomi), una
coppia sulla cinquantina.
Beh, posso dire che mentre la compagnia a Fraser lasciava molto a desiderare, qui non potevo chiedere di meglio: tutte persone simpatiche e deliziose. E, forse sarò influenzata dalle condizioni sociali, ma anche i posti mi sembrano infinitamente migliori. Citerò di nuovo la mia amica Bellapasta, che è stata qui prima di me: “Ti sembra di stare davanti a un’immagine ritoccata con Photoshop, e invece ce l’hai lì davanti agli occhi, per davvero.” Credo che questa affermazione riassuma sufficientemente bene il concetto.*
L’unica controindicazione è il mal di mare! Non so come, ma non mi
è passato neanche per il più remoto angolo del cervello il pensiero che potessi
sentirmi male. Sei sul ponte, la nave sballonzola, c’è vento, allora decidi di
andare sotto, per essere un po’ più riparato. Vai sotto, e forse sei al sicuro
dalle intemperie, ma la barca sballonzola molto di più quaggiù! Per fortuna i nostri compagni di viaggio
sono tutti molto più sgamati di noi e dotati di travelgum, che porta un po’ di tregua.
Ma sapete qual è la soluzione definitiva? Scendere dalla barca. A terra o in
mare, l’importante è scendere dalla barca. Infatti una volta raggiunta la riva,
su una delle 74 isole chiamata Whitehaven, bacio la terra e mi sento molto
meglio. E mi rendo conto che è valsa la pena soffrire un po’: è un luogo
incantevole. La sabbia è bianchissima e impalpabile, sembra farina, il mare è cristallino,
e non c’è nessuno a parte noi. Un’isola deserta. Ovviamente non appena
raggiungiamo e superiamo il promontorio all’estremità nord, scopriamo che
un’altra barca ha ormeggiato e sbarcato i suoi turisti, ma vabbè, sono disposta
a condividere tale meraviglia con gli altri. Anzi non vedo l’ora di mostrare al
mondo questo luogo eccezionale, ogni giorno diverso perché ogni giorno il mare
disegna nuovi paesaggi di sabbia nella laguna. Ma la contemplazione non dura a
lungo, ahimè dobbiamo tornare sulla barca, ormai è quasi sera, è ora di cena. E
del brindisi: rivelo che oggi è il mio compleanno, e libiamo i calici. E le
sorprese non sono finite: miracolosamente, in mezzo al mare, ricevo una
chiamata via skype dalle mie amiche, che si sono date appuntamento per farmi
una sorpresa. Purtroppo la tecnologia funziona a singhiozzo, la telefonata non
dura a lungo, quindi ci salutiamo in fretta. Ma è stata comunque una splendida
sorpresa.
Il giorno dopo ci spostiamo in un altro punto dell’arcipelago, un
luogo favorevole per lo snorkeling. Ora, devo dire che questa pratica non mi ha
mai attirato particolarmente. Capisco il fascino delle immersioni, anche se non
lo condivido: troppa paura delle profondità! Ma lo snorkeling, no. Mi
immaginavo persone semi-arenate a riva con la loro mascherina a cercare
pesciolini che si possono vedere altrettanto bene stando in piedi nell’acqua. E
tutta la meccanica del boccaglio mi ha sempre un po’ spaventato. D’altra parte,
mi piace fare esperienze nuove, quindi tanto vale provare anche questa, così la
tolgo dalla lista. Giulia ci distribuisce le mute, e penso di aver trovato un
altro motivo per cui questo snorkeling non mi ispira: quanto è difficile
indossare la maledetta muta? La barca nel frattempo si è avvicinata a una
piccola baia. Uno, due, tre… in acqua! Siamo a pochi metri dalla riva, ma mi
agito un po’ perché non riesco a toccare il fondo. Me la cavo col nuoto – ho
uno stile tutto mio, ma riesco a galleggiare – ma non posso definirmi una
persona particolarmente acquatica. Mi ci vuole un po’ per prendere confidenza
con l’acqua, e un po’ di più per interiorizzare il funzionamento del boccaglio.
E finalmente do un’occhiata sotto: in forse 3 secondi individuo i primi pesci e
mi rendo conto che non voglio fare altro nella vita. Altro che pesciolini, poi!
I più piccoli sono grossi come la mia mano, si spostano in banchi stando ben
attenti a evitare gli umani e hanno colori stupendi! È incredibile pensare che
qua sotto ci sia tutta questa varietà cromatica, ed è stupefacente vedere
quanto sotto sia grande! Forse ancora
più dei pesci sono i coralli e le piante a lasciarmi sbalordita, con le loro
strutture eclettiche e perfette. E infine, il pezzo che tutti ricercano: la
tartaruga! Simon ne individua una e inizia a fare ampi gesti per richiamare
l’attenzione di tutti. Trovo che sia bellissimo: siamo tutti consapevoli di
vivere un’esperienza eccezionale, che non possiamo fare a meno di condividerla
con gli altri, con un entusiasmo squisitamente infantile. Per la prima volta da
quando sono arrivata in Australia ho la percezione di stare acchiappando la
vita, in questo preciso momento.
Non appena formulato il pensiero, c’è qualcosa
che acchiappa me. Oddio una medusa. Penso che fra tutti i predatori che
cercheranno di ucciderti a ogni piè sospinto, la medusa sia quella che mi
spaventa di più. Tecnicamente non è neanche un predatore, anzi non gliene può
fregare di meno della presenza umana. Ma una varietà particolare di medusa pare
essere l’animale più velenoso del pianeta, e naturalmente si trova in
Australia. Il suo grado di velenosità riassunto in termini di tempo che ti
rimane per raggiungere un ospedale: molto poco. Non sono un’esperta di meduse,
quindi per me ogni medusa è quella che ha il tuo nome scritto sopra. E non
appena mi rendo conto che la cosa che mi ha sfiorato la mano è una medusa, vado
in panico. Inizio ad avvertire un leggero prurito sulle dita, ovviamente frutto
di pura suggestione. Il molto poco tempo però trascorre, e insomma io sono
ancora qui a raccontarvela. Ma l’incontro ha spento momentaneamente il mio
entusiasmo, e inizia a fare freddo in acqua: è tempo di tornare a bordo e
sfilarsi la muta, operazione se possibile ancora più difficile che indossarla.
Potrei fare un altro esperimento e provare il paddle-board… ma magari un’altra
volta. Adesso ho bisogno di asciugarmi e di ricominciare la mia lotta contro il
mal di mare. Ed è anche ora di rientrare ad Airlie Beach, l’escursione è
finita. Ritorniamo sulla terraferma e trasferiamo tutti i bagagli verso
l’ostello di questa notte, un posto davvero particolare, situato in mezzo alla
foresta. Siamo però troppo stanchi per fare veramente caso alla struttura: la
vita di mare è impegnativa, e domani si ritorna in strada.
A proposito, ma quanto abbiamo camminato finora?
870 km |
Km totali percorsi: 18.350
Lasciatemi chiudere dicendo che mi rendo conto che questo post è
la fiera di aggettivi quali meraviglioso, stupendo, eccezionale… Che dire, sono
le Whitsundays. Per ora è senza dubbio il posto più bello che abbia visitato, e
se dovessi trovarne uno ancora più bello… mamma mia!
*Se non vi bastano le parole, vi rimando al consueto servizio fotografico.
Brrr la medusa chissà che megaspavento...!
RispondiEliminaPosti bellissimi però, quelle isole sembrano proprio dei gioielli.
Se al posto dello spruzzino metti una pistola col silenziatore, sei pronta per recitare accanto a James Bond nel suo prossimo film :-)