martedì 13 novembre 2012

Si riparte!



La prima parte del viaggio verso nord trascorre in mestizia: alle spalle un addio davvero emozionale, e davanti a me un viaggio di 8 ore verso la nostra prima tappa, Yeppoon. Mi perdonerete se non ho divertenti aneddoti da riportarvi, ma vi assicuro che in 8 ore è successo veramente poco o niente. Uniche cose degne di segnalazione: ho visto finalmente in maniera dignitosa i miei primi canguri (non morti, non in mezzo alla boscaglia, ma ai margini di un centro abitato) e ho visto un’echidna! Sapete cos’è un’echidna? Per qualche motivo pensavo si trattasse di un uccello pieno di pungiglioni, invece mi sa che la confondo con il kiwi. E il kiwi lo confondo con il frutto. L’echidna è più simile a un porcospino, ma gli aculei sembrano cattivi come quelli dell’istrice. Appartiene alla stessa famiglia dell’ornitorinco, ovvero quella dei mash-up animal, quelli che non sai se sono mammiferi o rettili, e per questo hanno inventato una categoria apposta per loro. Della categoria fanno parte appunto l’echidna e l’ornitorinco. È un club molto esclusivo. Mi spiega Shane che molte echidne muoiono sotto le macchine, investite nel tentativo di attraversare, e anche le auto non ne escono tanto bene: ruote da buttare. Per fortuna di tutti, la nostra echidna quando ci vede arrivare si ferma sul ciglio della strada, anzi ci ripensa e torna indietro. Torniamo indietro pure noi, scendo dalla macchina e corro a vederla con una certa circospezione, chiedendomi in che modo potrà mai attaccarmi. In Australia le creature viventi si dividono in pests, ovvero seccature infestanti, e predatori, che cercheranno di ucciderti a ogni piè sospinto. E poi ci sono i drop bears, di cui vi parlerò in seguito. Non so se l’echidna sia una pest, ma credo se non altro di essere al sicuro: in questo momento lei è sicuramente molto più spaventata di me, ha il musetto affondato nel terreno e di certo sta pensando: “Speriamo che non mi abbiano visto… Dio, ti prego, fa’ che non mi abbiano visto…” mentre con le manine cerca di scavare più a fondo. 


Poverina, ti abbiamo spaventato abbastanza. E dopo questa sosta le 8 ore sono diventate 8 ore e 10 minuti, quindi è meglio proseguire.
Anzi, quindi è meglio arrivare direttamente a Yeppoon, località costiera poco distante da Rockhampton. A parte la spiaggia che sembra una pista di atterraggio e i pomodori a $ 5,40 al kilo (scusate ma dopo aver visto cartelli che riportavano prezzi ridicoli, tipo 12,90 $/kg, questa rarità merita una foto),


non c’è molto altro da segnalare. È anche piuttosto tardi quando arriviamo, lasciamo di corsa le valigie in ostello e andiamo a mangiare qualcosa, per poi andare a dormire. Come in molte cittadine australiane, qui si spegne tutto molto presto, e alle 8 di sera non c’è speranza di trovare un’anima per le strade. Non puoi neanche dire vado in spiaggia a bermi una birra sotto le stelle, perché non si può bere nei luoghi pubblici. Non resta che andare a dormire, che domani ci aspetta un altro lungo viaggio.

Prossima fermata: Sarina, 300 km più a nord. Il bello è che a parte pochi punti stabiliti (tipo Cairns), decidiamo le tappe via via che ci spostiamo. Ma sai che sto posto mi ispira? E fermiamoci, dunque! Sarina è l’esempio perfetto. Dopo aver cazzeggiato a lungo in quel di Yeppoon, è chiaro che oggi non arriveremo lontano, quindi tanto vale prendersela con calma. Perché stressarsi per arrivare a Mackay, una città che difficilmente offrirà qualcosa di diverso da centri commerciali e centri commerciali, e non ci fermiamo in quest’altra graziosa località costiera? Al posto dei centri commerciali ci sono solo resort, motel e un piccolo supermercato. E i barbecue pubblici accanto alla piccola piscina del motel. Uhm. Supermercato e barbecue. E nessun ristornate in vista. Sapete che vuol dire questo? Grigliata! A pochi metri dall’ennesima spiaggia chilometrica. La stessa spiaggia su cui si apre la porta finestra del motel.


La mattina posso svegliarmi, aprire le tende, vedere l’alba e tornare a dormire. Che meraviglia. Ah, no. Non posso tornare a dormire. Oggi dobbiamo arrivare a Airlie Beach, e questo è un appuntamento fisso.

Airlie Beach è una cittadina orrendamente turistica, ma è il punto di partenza ideale per visitare le Whitsundays Islands, un arcipelago di 74 isole sparse fra la costa e la barriera corallina. Barriera corallina che, probabilmente non vi ho detto, inizia dalle parti di Bundaberg e prosegue a nord per più di 2.500 km. Da Airlie Beach partono molte escursioni di 2-3 giorni in barca, e il piano è proprio quello di trascorrere il mio compleanno in questo paradiso. D’altra parte, l’avevo detto fin dal primo post, ricordate? Prenotiamo quindi l’escursione di 2 giorni su una barca chiamata Blizzard e ci prepariamo a partire l’indomani. Che giorno è l’indomani? 14 ottobre! Yeeee, auguri Swaggirl! Mo sono 30, eh? Metti la testa a posto e fa’ la persona seria!


La partenza è prevista per le 4 del pomeriggio dalla marina di Airlie Beach. Siamo accolti a bordo (rigorosamente scalzi) da Chriscoe e il suo mozzo/fidanzata, che non appena mi sente parlare al telefono con la mamma mi domanda: “Italiana?” Si chiama Giulia, è fiorentina ed è in Australia da 8 mesi, di cui gli ultimi 6 li ha passati qui a lavorare sulla barca. “Complimenti, ti sei scelta proprio un bel lavoro!” “Eh, non è male come ufficio, no…” Oltre ai due membri dell’equipaggio, la barca ospita 10 passeggeri: Simon e Keira, irlandesi che vivono a Sydney, e Noel, il padre di lei, in visita, che ha una passione irrefrenabile per i nostri laghi del nord; Minerva, messicana, e il suo fidanzato Fernàn, svizzero urugayano. Max, tedesco, e i Germans (perdonate ma non ho capito i nomi), una coppia sulla cinquantina.



Beh, posso dire che mentre la compagnia a Fraser lasciava molto a desiderare, qui non potevo chiedere di meglio: tutte persone simpatiche e deliziose. E, forse sarò influenzata dalle condizioni sociali, ma anche i posti mi sembrano infinitamente migliori. Citerò di nuovo la mia amica Bellapasta, che è stata qui prima di me: “Ti sembra di stare davanti a un’immagine ritoccata con Photoshop, e invece ce l’hai lì davanti agli occhi, per davvero.” Credo che questa affermazione riassuma sufficientemente bene il concetto.*
 
L’unica controindicazione è il mal di mare! Non so come, ma non mi è passato neanche per il più remoto angolo del cervello il pensiero che potessi sentirmi male. Sei sul ponte, la nave sballonzola, c’è vento, allora decidi di andare sotto, per essere un po’ più riparato. Vai sotto, e forse sei al sicuro dalle intemperie, ma la barca sballonzola molto di più quaggiù! Per fortuna i nostri compagni di viaggio sono tutti molto più sgamati di noi e dotati di travelgum, che porta un po’ di tregua. Ma sapete qual è la soluzione definitiva? Scendere dalla barca. A terra o in mare, l’importante è scendere dalla barca. Infatti una volta raggiunta la riva, su una delle 74 isole chiamata Whitehaven, bacio la terra e mi sento molto meglio. E mi rendo conto che è valsa la pena soffrire un po’: è un luogo incantevole. La sabbia è bianchissima e impalpabile, sembra farina, il mare è cristallino, e non c’è nessuno a parte noi. Un’isola deserta. Ovviamente non appena raggiungiamo e superiamo il promontorio all’estremità nord, scopriamo che un’altra barca ha ormeggiato e sbarcato i suoi turisti, ma vabbè, sono disposta a condividere tale meraviglia con gli altri. Anzi non vedo l’ora di mostrare al mondo questo luogo eccezionale, ogni giorno diverso perché ogni giorno il mare disegna nuovi paesaggi di sabbia nella laguna. Ma la contemplazione non dura a lungo, ahimè dobbiamo tornare sulla barca, ormai è quasi sera, è ora di cena. E del brindisi: rivelo che oggi è il mio compleanno, e libiamo i calici. E le sorprese non sono finite: miracolosamente, in mezzo al mare, ricevo una chiamata via skype dalle mie amiche, che si sono date appuntamento per farmi una sorpresa. Purtroppo la tecnologia funziona a singhiozzo, la telefonata non dura a lungo, quindi ci salutiamo in fretta. Ma è stata comunque una splendida sorpresa.

Il giorno dopo ci spostiamo in un altro punto dell’arcipelago, un luogo favorevole per lo snorkeling. Ora, devo dire che questa pratica non mi ha mai attirato particolarmente. Capisco il fascino delle immersioni, anche se non lo condivido: troppa paura delle profondità! Ma lo snorkeling, no. Mi immaginavo persone semi-arenate a riva con la loro mascherina a cercare pesciolini che si possono vedere altrettanto bene stando in piedi nell’acqua. E tutta la meccanica del boccaglio mi ha sempre un po’ spaventato. D’altra parte, mi piace fare esperienze nuove, quindi tanto vale provare anche questa, così la tolgo dalla lista. Giulia ci distribuisce le mute, e penso di aver trovato un altro motivo per cui questo snorkeling non mi ispira: quanto è difficile indossare la maledetta muta? La barca nel frattempo si è avvicinata a una piccola baia. Uno, due, tre… in acqua! Siamo a pochi metri dalla riva, ma mi agito un po’ perché non riesco a toccare il fondo. Me la cavo col nuoto – ho uno stile tutto mio, ma riesco a galleggiare – ma non posso definirmi una persona particolarmente acquatica. Mi ci vuole un po’ per prendere confidenza con l’acqua, e un po’ di più per interiorizzare il funzionamento del boccaglio. E finalmente do un’occhiata sotto: in forse 3 secondi individuo i primi pesci e mi rendo conto che non voglio fare altro nella vita. Altro che pesciolini, poi! I più piccoli sono grossi come la mia mano, si spostano in banchi stando ben attenti a evitare gli umani e hanno colori stupendi! È incredibile pensare che qua sotto ci sia tutta questa varietà cromatica, ed è stupefacente vedere quanto sotto sia grande! Forse ancora più dei pesci sono i coralli e le piante a lasciarmi sbalordita, con le loro strutture eclettiche e perfette. E infine, il pezzo che tutti ricercano: la tartaruga! Simon ne individua una e inizia a fare ampi gesti per richiamare l’attenzione di tutti. Trovo che sia bellissimo: siamo tutti consapevoli di vivere un’esperienza eccezionale, che non possiamo fare a meno di condividerla con gli altri, con un entusiasmo squisitamente infantile. Per la prima volta da quando sono arrivata in Australia ho la percezione di stare acchiappando la vita, in questo preciso momento.


Non appena formulato il pensiero, c’è qualcosa che acchiappa me. Oddio una medusa. Penso che fra tutti i predatori che cercheranno di ucciderti a ogni piè sospinto, la medusa sia quella che mi spaventa di più. Tecnicamente non è neanche un predatore, anzi non gliene può fregare di meno della presenza umana. Ma una varietà particolare di medusa pare essere l’animale più velenoso del pianeta, e naturalmente si trova in Australia. Il suo grado di velenosità riassunto in termini di tempo che ti rimane per raggiungere un ospedale: molto poco. Non sono un’esperta di meduse, quindi per me ogni medusa è quella che ha il tuo nome scritto sopra. E non appena mi rendo conto che la cosa che mi ha sfiorato la mano è una medusa, vado in panico. Inizio ad avvertire un leggero prurito sulle dita, ovviamente frutto di pura suggestione. Il molto poco tempo però trascorre, e insomma io sono ancora qui a raccontarvela. Ma l’incontro ha spento momentaneamente il mio entusiasmo, e inizia a fare freddo in acqua: è tempo di tornare a bordo e sfilarsi la muta, operazione se possibile ancora più difficile che indossarla. Potrei fare un altro esperimento e provare il paddle-board… ma magari un’altra volta. Adesso ho bisogno di asciugarmi e di ricominciare la mia lotta contro il mal di mare. Ed è anche ora di rientrare ad Airlie Beach, l’escursione è finita. Ritorniamo sulla terraferma e trasferiamo tutti i bagagli verso l’ostello di questa notte, un posto davvero particolare, situato in mezzo alla foresta. Siamo però troppo stanchi per fare veramente caso alla struttura: la vita di mare è impegnativa, e domani si ritorna in strada.
A proposito, ma quanto abbiamo camminato finora?

870 km
Km totali percorsi: 18.350

Lasciatemi chiudere dicendo che mi rendo conto che questo post è la fiera di aggettivi quali meraviglioso, stupendo, eccezionale… Che dire, sono le Whitsundays. Per ora è senza dubbio il posto più bello che abbia visitato, e se dovessi trovarne uno ancora più bello… mamma mia!

*Se non vi bastano le parole, vi rimando al consueto servizio fotografico.

1 commento:

  1. Brrr la medusa chissà che megaspavento...!
    Posti bellissimi però, quelle isole sembrano proprio dei gioielli.

    Se al posto dello spruzzino metti una pistola col silenziatore, sei pronta per recitare accanto a James Bond nel suo prossimo film :-)

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